lunedì 28 febbraio 2011

Seconda riflessione: il cubo

Tempo fa io e una mia collega abbiamo parlato dei nostri reciproci colloqui pre-assunzione.
Mi è rimasto impresso soprattutto il modo in cui lei mi raccontò di aver risposto alla classica domanda del responsabile del personale: “come vedi questo ipermercato?”: “un cubo”, disse. 
In effetti è proprio così: prima di tutto il posto in cui lavoro da ormai dieci anni è, all’apparenza, un cubo di cemento, una di quelle costruzioni considerate “all’avanguardia” nel momento in cui sono sorte - agli inizi degli anni '80 - e che oggi, ormai, risultano solo tristi cubi sbiaditi. 
Non possono certo reggere il confronto con le sedi delle nuove aperture, avveniristiche e ultramoderne cattedrali dell’era consumistica erette strategicamente in diversi luoghi del mondo globalizzato.
Anche la struttura organizzativa di questo tipo di ipermercato in un certo senso risponde alla logica strutturale del cubo. Secondo la definizione di Wikipedia, infatti, il cubo: “è il solo tra i solidi platonici che, con sue repliche, è in grado di riempire lo spazio con regolarità, cioè di fornire una tassellazione dello spazio”.
E anche il modello strutturale e gerarchico del punto vendita in cui lavoro - grazie alla sua organizzazione rigorosa, al controllo attento delle singole parti che lo compongono, all’istituzione di precise regole interne - è ripetibile ed esportabile con successo nello spazio, sia nella struttura che nella filosofia.
L’universo creato da questo “cubo” costituisce una sorta di mondo a parte, dove esistono leggi, costumi, modelli propri. Ogni dipendente accetta più o meno coscientemente una formazione che va aldilà della pratica lavorativa: è la mentalità delle persone che viene ridimensionata dalla strategia dell’iper, anno dopo anno, con un’azione costante e mai improvvisata.
Non sono solo le divise e gli slogan a creare le similitudini tra dipendenti di diversi punti vendita, me ne sono accorta con l’osservazione diretta e con la pratica quotidiana. E’ovvio che i lavoratori sono differenti - e quindi reagiscono ciascuno secondo la propria inclinazione naturale - ma risultano addestrati e forgiati su uno stesso modello ideale, sviluppando atteggiamenti, pensieri, comportamenti, simili e riconoscibili.
Parlo in particolare di chi è ben inserito nel “cubo”- ipermercato, di chi ci lavora da molto tempo ed è fedele e riconoscente all’azienda per averlo accettato nella “grande famiglia”. Del resto, chi non aderisce al modello, chi non è omologato alla squadra costituisce un fattore di disturbo, un elemento problematico da correggere o rifiutare, in un modo o nell’altro.
In uno dei colloqui che ho sostenuto prima di ottenere un contratto a tempo indeterminato (in precedenza sono stata a lungo lavoratrice interinale e assunta dall’azienda con brevi contratti a tempo determinato) mi è stato chiesto se avessi mai abortito e se desiderassi avere dei figli. In quell’occasione avevo risposto che le mie priorità erano altre e che non capivo cosa potesse c’entrare il mio lavoro con il mio pensiero sull’interruzione di gravidanza.
E’ probabile che la mia risposta non fosse in linea con le esigenze dell’azienda, poiché quella volta non venni selezionata.  
La forza della filosofia che governa la grande distribuzione è nel fare in modo che sia lo stesso organismo-iper a isolare le “pecore nere” facendole sentire inappropriate.
Come in tutte le corporazioni, esiste una sorta di “ente supremo” che detiene il potere decisionale e amministra le singole parti, ma si tratta di un’entità sfuggevole, non impersonabile in un singolo individuo, anche se esiste un Presidente fondatore, da ammirare solo in immagine, come un santino irraggiungibile. All’interno di questa mini-società ciascuno detiene una piccola parte di potere ma allo stesso tempo ognuno è schiavo del potere di qualcun altro, grazie ad una perfetta organizzazione gerarchica. Si ammirano i “grandi capi” che a loro volta ammirano i loro corrispettivi “grandi capi”, senza rendersi conto che la maggior parte della loro vita si svolge dentro a un “cubo”. 
Nella struttura aziendale dell’ipermercato è molto difficile che abbiano effetto i classici strumenti di lotta sindacale, poiché non esiste una vera“coscienza di classe”, aldilà della crisi generale che investe l’intero mondo del lavoro. Chi prova a mettere in luce le contraddizioni, chi reclama maggiori diritti, chi sciopera non è ben visto dai colleghi ma, al contrario, viene giudicato come un traditore o un elemento problematico. La contestazione, infatti, non fa che incrementare il lavoro dei collaboratori presenti che vengono chiamati a colmare le assenze consentendo il regolare svolgersi del lavoro. Il sindacato, dal canto suo, è spesso assente, poco incline a svolgere un lavoro di sensibilizzazione sui lavoratori o ad aggiornare il metodo di lotta rendendolo più adeguato al contesto.
La “condivisione del potere” a cui ho fatto riferimento in precedenza, inoltre, fa in modo che non venga riconosciuto un responsabile da contestare: la colpa dei problemi, sempre se questi siano percepiti, è sempre di qualcun altro, certo non dei membri della stessa “squadra”.
L’ipermercato è, come ho già accennato prima, una famiglia. E ogni famiglia ha le sue regole, a volte ingiuste ma sempre accettate. Del resto sputeresti mai nel piatto in cui mangi? Vorresti mai non essere accettato dai tuoi parenti?
Come in una famiglia numerosa, anche in ipermercato nascono intrecci sentimentali, rivalità, competizioni. Vengono organizzate assemblee e feste per celebrare ricorrenze e traguardi, vengono chiesti sacrifici (straordinari non pagati, ad esempio). Poco importa se non tutti gli stipendi e non tutti i contratti (e ne esistono davvero molte varietà, nel tempo sempre più convenienti per l’azienda) prevedono lo stesso trattamento.  

3 commenti:

  1. E' praticamente lo stesso sistema che Berlusconi ha utilizzato per governare il 100% dell'Italia con un 45% circa di consci sostenitori, un 30% di massa comunque schematizzata, un 15% di sinistra accomodante e un 5% di facinorosi (ovvero quelli che provano a fare lotte sindacali).

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  2. La base è: comanda chi può pagare per farsi "ascoltare", votare, ecc. Senza i soldi, in questo sistema, questi, che ora comandano, non combinerebbero nulla; nessuno li ascolterebbe, nè li voterebbe, probabilmente sarebbero disoccupati. Non saprebbero fare il lavoro di un cassiere in un ipermercato. Sono i cassieri (ma non solo loro) ad avere il coltello dalla parte del manico. A volte credo non ne siano coscienti.

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  3. purtroppo è vero che non ne sono coscienti. ed è proprio questo il punto, soprattutto perchè per cambiare le cose bisognerebbe costituire una forza che abbia i numeri dalla sua parte. in pochi (senza soldi e senza potere di scambio) non si fa molto...

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