Tempo fa io e una mia collega abbiamo parlato dei nostri reciproci colloqui pre-assunzione.
Mi è rimasto impresso soprattutto il modo in cui lei mi raccontò di aver risposto alla classica domanda del responsabile del personale: “come vedi questo ipermercato?”: “un cubo”, disse.
In effetti è proprio così: prima di tutto il posto in cui lavoro da ormai dieci anni è, all’apparenza, un cubo di cemento, una di quelle costruzioni considerate “all’avanguardia” nel momento in cui sono sorte - agli inizi degli anni '80 - e che oggi, ormai, risultano solo tristi cubi sbiaditi.
Non possono certo reggere il confronto con le sedi delle nuove aperture, avveniristiche e ultramoderne cattedrali dell’era consumistica erette strategicamente in diversi luoghi del mondo globalizzato.
Anche la struttura organizzativa di questo tipo di ipermercato in un certo senso risponde alla logica strutturale del cubo. Secondo la definizione di Wikipedia, infatti, il cubo: “è il solo tra i solidi platonici che, con sue repliche, è in grado di riempire lo spazio con regolarità, cioè di fornire una tassellazione dello spazio”.
E anche il modello strutturale e gerarchico del punto vendita in cui lavoro - grazie alla sua organizzazione rigorosa, al controllo attento delle singole parti che lo compongono, all’istituzione di precise regole interne - è ripetibile ed esportabile con successo nello spazio, sia nella struttura che nella filosofia.