lunedì 28 febbraio 2011

Seconda riflessione: il cubo

Tempo fa io e una mia collega abbiamo parlato dei nostri reciproci colloqui pre-assunzione.
Mi è rimasto impresso soprattutto il modo in cui lei mi raccontò di aver risposto alla classica domanda del responsabile del personale: “come vedi questo ipermercato?”: “un cubo”, disse. 
In effetti è proprio così: prima di tutto il posto in cui lavoro da ormai dieci anni è, all’apparenza, un cubo di cemento, una di quelle costruzioni considerate “all’avanguardia” nel momento in cui sono sorte - agli inizi degli anni '80 - e che oggi, ormai, risultano solo tristi cubi sbiaditi. 
Non possono certo reggere il confronto con le sedi delle nuove aperture, avveniristiche e ultramoderne cattedrali dell’era consumistica erette strategicamente in diversi luoghi del mondo globalizzato.
Anche la struttura organizzativa di questo tipo di ipermercato in un certo senso risponde alla logica strutturale del cubo. Secondo la definizione di Wikipedia, infatti, il cubo: “è il solo tra i solidi platonici che, con sue repliche, è in grado di riempire lo spazio con regolarità, cioè di fornire una tassellazione dello spazio”.
E anche il modello strutturale e gerarchico del punto vendita in cui lavoro - grazie alla sua organizzazione rigorosa, al controllo attento delle singole parti che lo compongono, all’istituzione di precise regole interne - è ripetibile ed esportabile con successo nello spazio, sia nella struttura che nella filosofia.

giovedì 24 febbraio 2011

Prima riflessione. Sul futuro già presente

Ci abitueremo a tutto. Alle morti dei parenti più stretti, alle nuove costruzioni disordinate, agli eco-mostri misteriosi in cemento e acciaio.
Ci abitueremo alle strade divoranti i campi, alle rovine di dieci anni fa - non resteranno monumenti da ricordare del nostro passato prossimo, solo sacchetti di plastica e discariche abusive a concimare fragole fuori stagione. Le autostrade costeggeranno paesaggi simili a fondali marini inquinati da resti di fabbriche esportate in Cina.
Siamo cresciuti in un limbo. Non abbiamo padri da uccidere, perchè in fondo mai ci hanno riconosciuti.
Hanno organizzato per noi feste aziendali in cui sfoggiare le nostre maschere e code in segreteria per pagare tasse sul nostro futuro d'intellettuali precari.
La nostra infanzia è stata un cartone animato giapponese con abuso di merendine industriali, un asilo catodico per proteggerci dalle liti famigliari o dai divorzi. Ci abitueremo all'anoressia e alla bulimia, alle finte minorenni, alle finte maggiorenni e ai progressi della chirurgia estetica.
Abbiamo imparato il sesso da riviste adolescenziali, lo abbiamo praticato per sentirci adulti, per sentirci accettati, per sentirci vivi. Qualche volta, - forse - per amore.
Siamo diventati adulti senza lasciare l'adolescenza. Abbiamo adorato un dio senza conoscerlo.
Ci hanno raccontato tutto senza dirci niente. Abbiamo infinite libertà di scelta come telespettatori e abbastanza come consumatori. Quasi nessuna come cittadini.
Ci abitueremo a tutto. Ai terremoti senza ricostruzione, alle cadute di Pompei, ai 25mila licenziamenti, alle immagini dei bambini panciuti ricoperti di mosche. Ci abitueremo agli omicidi irrisolti, ai matricidi e agli infanticidi. Ci abitueremo alla decadenza morale di chi ci governa -  abbiam già fatto passi da gigante - ci abitueremo alla finta indignazione, alla rassegnazione, ai vuoti dibattiti virtuali su social network alla moda, alla morte cerebrale delle passioni e degli ideali politici. Ci abitueremo alla perdita di memoria storica e all'abuso di psicofarmaci.
Ci rassegneremo all'asetticità clinica dei nostri ultimi giorni.
Non avremo figli a cui affidare le nostre badanti.